mercoledì 31 dicembre 2014

Mia Suocera

La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.

"Tempo fa lessi un articolo in cui si elencavano le peggiori situazioni da dover affrontare quando si sta insieme a qualcuno. Nella puntigliosa lista era menzionato il pranzo (o all’occorrenza la cena) con la suocera.
Era la vigilia di Natale e toccò anche a me affrontare il fatidico evento.
Ma non avrei mai potuto immaginare un qualcosa di simile."



Feci in tempo ad arrivare in ritardo, ma nessuno dei presenti si curò di farmelo notare a parte Lisa, la mia fidanzata. <<Non hai rispetto per nulla, figuriamoci per la mia famiglia. Me lo sarei dovuto aspettare>> esordì dopo avermi liberato del cappotto e dai dolci fatti in casa che avevo portato per l’occorrenza.

Conobbi Lisa per sbaglio: io e la mia combriccola di amici ci imbucammo ad una festa universitaria e a quei tempi andavo dietro ad una ragazza che mi piaceva molto. Una fonte certa mi disse che con molta probabilità ci sarebbe stata anche lei. C’era un sacco di gente, l’ambiente era stimolante e ci presentammo con un bel po’ di vino già bello che scolato. Cominciai a cercare la ragazza a cui tanto ambivo tra l’immensa folla di ragazzi che ballavano, bevevano e si divertivano spassionatamente; del mondo là fuori sembrava non gliene importasse un bel niente. Ebbi modo di percepire quella sensazione e mi piacque molto. Ad un tratto vidi la ragazza che cercavo di fronte ad una finestra. Teneva in mano una sigaretta e il fumo si intrecciava alla sua chioma di capelli castani. Era rivolta verso fuori. Mi avvicinai e le toccai delicatamente la spalla per girarla verso di me: non era la ragazza che cercavo. Cominciai a borbottare qualche scusa dicendo di averla confusa con un’altra. D’altro canto lei sorridendomi mi disse che trovava carino il modo di presentarmi, credendo fosse un modo come un altro per attaccare bottone. Mi fece i complimenti per l’originalità. Sembrava contenta di avermi visto. Bevemmo qualcosa insieme e cominciammo a frequentarci. Quella ragazza era Lisa.

Dopo un po’ di tempo, quando tutto andava per il meglio (e a lei sembrò corretto fare qualcosa per rompere quel perfetto equilibrio) cominciò a insistere per farmi conoscere la sua famiglia. Scelse il giorno più cauto e appropriato per farlo: la vigilia di Natale.

I suoi genitori avevano divorziato all’incirca qualche anno fa e la storia della loro rottura mi è stata rivelata con diverse versioni; la famiglia in città è molto chiacchierata: c’è chi sostiene che lui abbia tradito lei, o lei abbia tradito lui o nessuno dei due abbia tradito nessuno, ma si cercava semplicemente un pretesto per mandare all’aria il matrimonio. La verità non è mai venuta a galla e Lisa non ha molto piacere a parlarne. Adesso vive con la madre e ha notizie del padre una volta al mese: sembra si sia trasferito al nord, ma se fosse andato in Africa, per Lisa non sarebbe cambiato nulla; pare che non le vada tanto a genio.

La casa si rivelò molto accogliente. Era una palazzina su due piani al centro della città. Una costruzione un po’ vecchiotta, che la madre di Lisa aveva ereditato dalla sua stessa famiglia: soffitti alti, pareti d’altri tempi, e i vari allestimenti che fanno pensare a quei noiosi salotti borghesi ottocenteschi.

Ci accomodammo nel salone dove tutto era stato preparato con delicata sfarzosità per l’evenienza.

Arrivò il momento delle presentazioni: c’era suo zio venuto dal paese con la sua attuale consorte, poi c’era un altro suo zio con la sua seconda moglie. I loro nomi non mi sembravano così importanti e non ci misi nulla a dimenticarli subito dopo averli sentiti. Pensai subito che fosse un vizio di famiglia non far andare a buon fine le relazioni. Decisi che ci avrei scherzato un po’ su riguardo questa mia osservazione, in privato con Lisa più tardi, ma come spesso accade mi dimenticai anche di questa mia effimera volontà. Al seguito di questi due zii, entrambi fratelli della madre, c’era la loro prole. Erano in tre, ma sembrava fossero in tredici. Diedero fastidio per tutta la serata, o meglio finché le loro forze glielo permisero. Per fortuna caddero in un sonno profondo subito dopo i festeggiamenti della mezzanotte.

<<In cucina è tutto pronto; dobbiamo solo decidere quando cominciare>> qualcuno esordì entrando dalla porta all'altra estremità della sala. Era Monica; la sorella più piccola di Lisa. 
La vidi, mi parve di mio gradimento e pensai subito di aver sbagliato la scelta della sorella, ma cacciai subito via il mio pensiero impudico dando la colpa alla confusione del momento e a quell'entrata imponente.

Ed infine si alzò mia suocera (o futura tale, per essere fiscali) dalla poltrona vicino al camino e mi venne incontro. Mi parve fossero passati secoli prima di ritrovarmela davanti. Indossava un vestito sobrio, delle scarpe col tacco, reggeva una sigaretta che veniva fumata nervosamente e due orecchini giganteschi che sembravano degli allungamenti delle sue orecchie. In complesso si presentava bene. Somigliava molto a Monica. Se non fosse per l’età avanzata, avrei potuto scambiarla benissimo con lei. 
Meryl Streep in una scena del film "I segreti di Osage County"

<<Finalmente ci conosciamo! Lisa mi ha parlato tanto di te! Come vanno le cose giù al negozio?>> mi disse dopo avermi abbracciato energicamente e squadrato quasi fossi l’opera più importante in un museo. Mi vennero in mente subito quelle scene delle soap opera raccapriccianti locali, e le loro frivole sceneggiature, che intrattengono le domestiche incaute di tutto il paese.  
<<Mamma? Ma cosa stai blaterando? Il negozio ce l’aveva Carlo, il mio ex! Lui è Francesco: il mio attuale fidanzato! Non ci posso credere>> rispose sconsolata Lisa.
<<Suvvia che vuoi che sia!>> rispose con un’insolita euforia. Poi si girò verso di me e continuò <<Non ci facciamo caso a queste cose vero? E comunque sia io sono Rosalba! Lieta di conoscerti. Voglio subito levarmi una domanda scomoda: di cosa ti occupi?>>
<<Mamma, ma insomma!>> esclamò Lisa.
<<Nessun problema>> esordì io ammiccando. Poi rivelai i dettagli del mio attuale impiego senza prolungarmi più del necessario.
<<Su caro vieni a fumare una sigaretta con me in veranda>> mi disse prendendomi per il braccio. 
<<Mamma cerca di non annoiarlo con le tue solite raccomandazioni e poi fate presto perché la cena è pronta. Nel frattempo serviamo l’antipasto>> si preoccupò Lisa, ma eravamo già fuori quando terminò la frase.

<<Allora, mio caro…>>; quel mio caro cominciava a darmi sui nervi. Faceva freddo e avevo lasciato dentro il cappotto. In compenso il panorama non era male. Da lassù la città aveva un altro aspetto. Approfittai del mio pensiero per alleggerire la discussione che dopo la sua premessa iniziale aveva preso una piega scomoda e boriosa. Fumai velocemente la sigaretta che mi aveva gentilmente offerto Rosalba, la mia futura suocera, e quando terminò anche lei, le feci strada per rientrare <<Prego, sig.ra Rosalba>>
<<Oh… chiamami pure Rosy, tesoro mio>>.
Quella sua confidenza mi irritò un po’, ma sorrisi amichevolmente ed una volta rientrato mi apprestai a prendere posto.   

Lisa me ne aveva riservato uno vicino a lei, ma come feci per sedermi sentì gridare <<No! No, mio caro.>> poi più pacatamente <<Vieni qui. Siedi qui vicino a me. Ci siamo conosciuti da poco. Non voglio mica urlare per scambiare quattro chiacchiere con te. Scommetto che avremo molte cose da dirci!>>. Era Rosalba, madre di Lisa, a quanto pare un essere perfido e diabolico, in poche parole era mia suocera, ma soprattutto esecutrice dell’insolito trattamento che di lì a poco mi sarebbe toccato...
[Continua...]

Leggi la seconda parte qui

Della rubrica "Storie di Straordinaria quotidianità" leggi anche:

Contro tutti: una fantastica storia di vita


Storia di un eroe di cui nessuno parlerà

Inadatta: testimonianza di una baby-squillo

domenica 23 novembre 2014

Intervista ad una ragazza stupenda che crede di non esserlo


La rubrica Riflettendo affronta una vasta gamma di argomenti. Nasce con il semplice scopo di offrire degli spunti di riflessione.



Cos’è la bellezza?
Il grande interrogativo continua a non dare pace a tutti gli intellettuali (e non) dell’intera umanità. Filosofi hanno provato a spiegarla, a rendere reale qualcosa di efficacemente astratto, poeti hanno provato a dare un immagine con i loro versi, pittori e scultori con le loro rappresentazioni. Nonostante non si sia raggiunta una definizione assoluta non si è mai smesso di parlarne, e per qualcuno è diventata un ossessione.

Roberto Benigni, nel film “La tigre e la neve”, prova a semplificare, con il monologo che ha reso celebre il personaggio Attilio De Giovanni (da lui stesso interpretato).
Qui di seguito una frase tratta dallo stesso:


<<La bellezza è nata quando qualcuno ha cominciato a scegliere>>

Più che provare a definirla, questa frase ci fa riflettere sulle conseguenze che comporta. Ma cosa vuol dire essere belli? Come ci si sente? L’autostima è importante, e sentirsi apprezzati mette sicuramente a proprio agio aiutando molto l’individuo persino nelle vicissitudini quotidiane.
Ma siamo proprio sicuri che sentirci belli, coincida con il sentirsi apprezzati?

Di seguito l’intervista ad una ragazza stupenda che non crede affatto di esserlo.





In foto: Rooney Mara




“La bellezza è negli occhi di chi guarda”. E’ una frase che sentiamo spesso dire in giro. Sei d’accordo? In definitiva, che cos’è per te la bellezza?

Per me la bellezza è qualcosa che non esiste. O meglio, è un invenzione dell’umanità che ha aperto le porte a dei secondi fini. Non credo nelle cose che non hanno una loro concretezza, che non sono definibili secondo validi criteri. Posso essere d’accordo con quella frase. Ma solo perché so per certo che è una cosa a cui credono in molti. Per me è vera perché lo è per la maggior parte della gente. Probabilmente lo è.  Ma non ho una mia opinione al riguardo, in quanto non credo nella bellezza. E’ un qualcosa in cui bisogna avere fede. O ci credi o non ci credi: non c’è una via di mezzo.  A me può piacere una persona, ma questo non significa che questa sia bella.



Beh… lo è per te!
Non penso alla bellezza quando mi piace qualcuno. Penso ad un modo di essere. Quando c’è affinità, quando mi lego a qualcuno, penso che con lei sto bene e quindi mi piace. Non scelgo di stare con qualcuno perché mi attrae o ritengo che sia una bella presenza, in quanto non è un ragionamento che mi sovviene di fare.

Adesso credi di non essere bella o attraente, come in molti ti definiscono. La pensi da sempre così, o c’è stato un momento in cui hai cambiato punto di vista sulla questione?

Francamente non ricordo questo piccolo particolare. Nell’atto pratico, se così possiamo intenderlo, ho cominciato ad avere le prime “storielle” alle superiori. Non mi sono mai chiesta nulla riguardo la bellezza, e in definitiva non mi sono mai ritenuta una bella ragazza, e mai ci ho pensato.
Quando sono stata con qualcuno non pensavo che fossero venuti con me perché ritenevano che fossi una persona attraente. Magari lo pensavano, ma non è questo il punto, e poi io non l’ho mai saputo. Al di là delle storie occasionali, che tagliano fuori la questione in quanto possono anche essere attribuite alla “foga del momento” o ad una semplice sbronza, ho scelto di avere delle relazioni con determinate persone perché queste mi facevano sentire importante. Mi attribuivano un senso, un ruolo. Ho creduto che valessi qualcosa affianco a loro e anche se dopo, per vari motivi, si sono interrotti i rapporti, ritengo che in quel momento abbiano avuto quel valore che per me è stato importante.

In molti, e tra i quali amici strettissimi, ritengono che tu sia di una bellezza superiore alla media. La cosa ti infastidisce? Pensi mai al perché continuino a dirtelo? Ti sei mai chiesta come mai la maggior parte della gente lo pensa e non esiti a dichiarartelo?

La gente ne parla come se fosse un problema. Come se non riconoscere ed essere consapevole della mia “bellezza” potesse essere per me un intralcio. Non ho problemi di autostima. Non è di questo che si tratta. I miei amici mi apprezzano per quello che dico, faccio e per quello che sono. Sanno benissimo che non mi cambia la vita sentirmi dire certe cose, e penso che dopo tanto tempo che ci conosciamo (parlo degli amici intimi), evitano di lasciarsi andare ad inutili convenevoli. 
Quando mi capita di sentire apprezzamenti, riguardo il mio aspetto, da gente che non conosco o che conosco appena, sorrido loro pensando che è una frase come un’altra per dire qualcosa di carino e per fare bella figura, o che più semplicemente non riescano a trovare qualcosa di più intelligente da dire.

Parli della bellezza (chiaramente prendendo in considerazione la tua persona; non estendiamo l’argomento a qualsiasi altra ”bellezza” nel mondo) come se fosse semplicemente un fattore estetico. Hai parlato di affinità, dello stare bene con una persona. Non ritieni che queste facciano parte di una sorta di bellezza, chiamiamola interiore. Più profonda e meno frivola, secondo il tuo modo di vedere la cosa?

Possiamo chiamarla come ci pare. Ma è una cosa diversa dal definirla tale. Se fossimo in un locale e vicino a me ci fossero delle ragazze e qualcuno ci volesse provare, sceglierebbero in base all’aspetto esteriore e non prendendo nessun’altro criterio in considerazione. Non li interesserebbe nulla di quello che siamo. E’ una cosa triste, ma, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte dei luoghi, ha più rilevanza rispetto a qualsiasi altro canone. 
Il risultato è che un individuo non è esortato a far valere la propria persona, a farsi conoscere per quello che è, e ad avere il coraggio di metterlo in mostra. Ma, al contrario, cerca di abbellirsi, di far di sé un pupazzo da palcoscenico per attirare più spettatori possibili. Spesso la gente crede di ritenere bella una persona solo perché assomiglia, nel look, nel modo di camminare e di comportarsi, ad un personaggio famoso o ad una persona a cui si ispirano. Per me un qualcuno è una bella persona quando, riuscendo ad apportare un qualcosa di suo, facente parte del suo bagaglio culturale ed empirico, ritengo che quell’apporto sia per me piacevole. Tutto il resto non conta. Non mi è mai capitato di vedere qualcuno e lasciarmi andare a futili compiacimenti al riguardo. E’ il modo d’essere che fa la differenza. E non posso giudicare il modo di essere di qualcuno, guardandolo soltanto. Ho bisogno di interagire con lui e ci vuole del tempo. Il colpo di fulmine è una storiella che ci si racconta per dare un significato ad un qualcosa che di per sé non ne ha.


Perché ritieni di non essere bella? Pur non credendoci, hai mai pensato che tu possa trarre dei vantaggi sapendo che gli altri lo pensano? Ad esempio, chi ti dice che, seppur inconsciamente, questo non abbia contribuito a farti crescere l’autostima?

Con l’evolversi della società si è arrivati ad avere dei criteri oggettivi per definire un individuo bello, o comunque meno bello di un altro e via dicendo. Quando invecchierò e le rughe prenderanno vita sul mio viso, il mio corpo mostrerà segni di cedimento e sicuramente non sarò attraente, come tanto vi piace definirmi, secondo la società avrò perso quella “bellezza” che mi sta accompagnando. Certo: per gli altri sarò comunque bella, ma una di una bellezza invecchiata e roba del genere. Il mio concetto è ben diverso. 
Per me è qualcosa che nasce e può soltanto crescere e migliorare. Non è un qualcosa che va in deperimento o passa di moda.
Ripeto: quando una determinata cosa è vera per tutti gli altri, o quasi, non si può far finta di niente. Non si può non tenerla in considerazione. A volte, ho sfruttato il fatto che gli altri mi dicessero e credessero fossi una bella ragazza, ma per cose che avrei potuto ottenere lo stesso. Magari con più difficoltà o, più semplicemente, in maniera diversa.

Un’ultima domanda;  più che altro, una frivola curiosità. Sei fidanzata da più di tre anni. Il tuo ragazzo ti dice mai che sei bella, o in passato l’ha mai fatto? Come è cominciata la vostra relazione?

Beh… all’inizio lo diceva spesso, ma in cuor mio sapevo che i suoi complimenti avevano un significato diverso e so per certo che non sta con me “perché sono una ragazza attraente”. Con il passare del tempo mi riempie di altri elogi. Posso affermare che sta persino attento a questo particolare. E’ una cosa che lui nega sempre. Ha tutto un suo modo di farmi sentire importante, e lo apprezzo molto. In definitiva, non mi interessa di sentirmi bella. Mi interessa avere un valore che prescinde da questo.
Conosco il mio ragazzo da molto prima che ci mettessimo insieme. Uscivamo insieme agli altri. La nostra era una grande comitiva. Lui è sempre stato un tipo interessante. Mi è cominciato a piacere dopo un po’. Notavo che ogni volta che prendeva la parola, ero sempre più interessata a quello che diceva, e la cosa è andata man mano aumentando.
Un giorno, e non uno qualunque: il giorno del mio compleanno, i miei amici mi schiacciarono la torta totalmente in faccia (per fortuna era uno scherzo ed era pronta un’altra). Lui si avvicino impavido e mi baciò davanti a tutti, senza che potessi vedere chi fosse il mio attentatore. Si staccò e mi sussurrò nell’orecchio <<Tutto ciò che mi piace di te è invisibile. E devi credermi quando ti dico che pur essendo nascosta dietro questa maschera di panna e crema, riesco a vedere quello che sei>> Non riconobbi subito la voce, ma pensai che solo un ragazzo della comitiva poteva lasciarsi andare a quel modo, a quella dichiarazione. Presi a baciarlo di nuovo. Poi mi ripulì e vidi che il ragazzo che mi aveva baciato così coraggiosamente davanti a tutti, era quello a cui avevo pensato.

Grazie per il tempo dedicato, bella ragazza!

(Mi guarda con aria ironica a accusatoria. NdR)



Della rubrica "Riflettendo" leggi anche:

“Relazioni a distanza ed effetti collaterali“


"Perché Virginia Woolf si è tolta la vita?"












domenica 20 luglio 2014

Contro tutti: una fantastica storia di vita



La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.

In questo articolo . . . 

"La prima parte della coinvolgente storia di Simona: una donna a cui la vita non ha sorriso, ma che ha saputo sempre prendere il meglio delle cose con una forza d’animo che ha qualcosa di soprannaturale”

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Tratto da una storia vera.

Come quando i componenti di una ciurma decidono di remare contro la direzione prestabilita, ma il capitano con un carisma e delle doti straordinarie riesce a rimettere in sesto i suoi, Simona ha sempre portato la sua nave al porto di destinazione.

Con la sua perseveranza è riuscita ad andare avanti quando il destino si divertiva a chiuderle a chiave le porte. Incarna alla perfezione il proverbio “ciò che non ti uccide, fortifica” dimostrando che si può essere felici anche quando non ci sono i presupposti per esserlo.
Il nome Simona deriva dall’ebraico e significa “Dio ha ascoltato”. Non so se l’abbia fatto davvero, ma sicuramente è riuscita ad ascoltare innanzitutto se stessa, nonostante i rumori quotidiani della vita, imparando ad ascoltare col tempo il proprio corpo per evitare spiacevoli conseguenze.


Non un’infanzia e un’adolescenza felicissima per lei costretta a trasferirsi di città in città per motivi familiari. Tali avvenimenti hanno fatto si che non riuscisse a integrarsi come avrebbe dovuto con i suoi coetanei. Ogni volta che gettava le basi per un’amicizia era costretta a frantumarle causando un successivo dolore per quelle a venire: aveva il timore di creare qualcosa, sapendo che di lì a poco avrebbe dovuto farne a meno. Quindi si è vista costretta a crescere in fretta imparando subito a comprendere che la vita può essere un ostacolo insormontabile e che non è facile ritagliarsi un posto per chi rimane indietro, anche se non per cause proprie. Il destino comincia a scherzare con lei sin da dopo il liceo quando un giorno come altri si trova delle strane piaghe sul suo volto a cui nessun medico riesce a dare risposta. Proviamo a metterci nei panni di chi, in un’età dove è semplice crearsi dei complessi (persino i più banali quali il non sentirsi belli, o semplicemente accettati) aveva un motivo in più per non sentirsi a suo agio. E così i gesti quotidiani diventavano un’agonia: entrare in un negozio, parlare con una persona sconosciuta  anche solo per chiedere l’orario, far parte di un gruppo, relazionarsi e presenziare in posti affollati. Non solo ha dovuto superare lo stress personale convincendosi che non c’era nulla di sbagliato in lei, ma doveva acconsentire alle richieste di persone che, direttamente o non, cercavano di allontanarla. Questo avvenimento fu l’inizio di un periodo intenso che si conciliava con lo studio e l’università.

Nella sua testimonianza, Simona ci fa capire che le sue uniche soddisfazioni, all'epoca, erano quelle di prendere bei voti e impegnarsi al massimo nel conseguire la laurea. Toccante l’episodio in cui dovendo affrontare un esame complicatissimo, e non riuscendo a superarlo, nonostante l’impegno e la resilienza dimostrata nel suo cammino, una professoressa di cui ha un ricordo piacevole, dopo una confessione spontanea nella quale la nostra protagonista riconosceva le sue evidenti difficoltà nell'apprendere le nozioni necessarie per il giusto svolgimento di quell'esame, l’unico ad esserle stato da impedimento, le concesse il voto sperato. Fu allora che Simona ebbe la conferma che un briciolo di umanità è presente in tutti noi, anche negl’animi più cruenti e apparentemente privi di qualsiasi forma di condivisione e bontà. Fu allora che Simona capì che c’è sempre quell'ultimo centimetro di speranza a cui spesso e volentieri si è aggrappata e che non dobbiamo mai perdere. Esso rappresenta la via di fuga, nonché la soluzione, quando tutto ci sembra andare storto.

Nonostante le difficoltà dovute ai costanti capricci del suo corpo e le continue ripercussioni che esse hanno avuto sul proseguo della sua vita, Simona riesce ad andare avanti sconfiggendo ogni sorta di demone presentatosi ad intralciare il suo sentiero con forza e determinazione, sempre a testa alta. Conosce una persona per una pura casualità: una constatazione amichevole. Crede di poter trovare in essa un appoggio, una compagnia confortante nella sua vita fino a quel momento piena di soddisfazioni, ma ricolma di sofferenza e poca felicità. Dopo aver passato così tanti avvenimenti negativi, viene difficile credere a qualsiasi forma d’amore. Si pensa che sia un oggetto indefinito nel quale possiamo fluttuarci dentro, rimanere incatenato ad esso, per poi scoprire che siamo senza possibilità di uscirne, qualora lo si volesse. Questa sensazione ci provoca piacere e ci riempie di speranza. Ci auguriamo di trovare qualcuno con cui condividere la nostra solitudine, ma presto capiamo che non può esserci condivisione se ognuno sta dalla sua parte senza protrarsi verso l’altra e alla fine rimane solo la consolazione nel sapere che qualcun altro si sente solo come noi, ma il rammarico di non poter fare niente per cambiare le cose.


Inoltre, uno strano presentimento, quasi un presagio, accompagnavano le sue giornate fino a rendersi conto di portarsi appresso un vuoto incolmabile al quale si aggiunsero degli eventi spiacevoli…
[Continua... ]

Della rubrica leggi anche:

Inadatta: la storia di una baby-squillo

Storia di un eroe di cui nessuno parlerà

Friends: la storia di alcuni amici che si ritrovano

Porto fuori il cane: la storia di un tradimento




domenica 6 aprile 2014

Inadatta

La rubrica “ Riflettendo “ affronta una vasta gamma di argomenti . Nasce con il semplice scopo di offrire degli spunti di riflessione .

In questo articolo...

<<Il racconto-testimonianza di una delle piaghe sociali dei nostri tempi. Chiusa in uno squallido bagno scolastico, in attesa del suo "cliente", una liceale si fa prendere dallo sconforto per quello che fa, inghiottita dai turbamenti dovuti al suo malessere interiore>> 

“Inadatta“

<<Presto sarà qui…
Il gocciolare del lavabo echeggia nella mia testa: il suo rumore è

insopportabile! Mi ricorda quando, da piccola, facevo cadere le biglie uno alla volta sul pavimento: un po’ per divertimento, un po’ per attirare l’attenzione di mia madre e farla irritare- in quel caso il rumore mi dava sollievo, mi piaceva.

Presto sarà qui… preferisce incontrarmi  in bagno, rigorosamente chiusa a chiave in uno degli sportelli del cesso (quello dell’ultimo piano, il meno frequentato) perché un po’ si vergogna, ma a differenza di altri è molto più gentile. Non mi tratta con arroganza e prepotenza, e ad essere sinceri l’ultima volta mi è sembrato più impacciato del solito- come se si rendesse conto di fare qualcosa che non gli appartiene, ma gestito da un desiderio incontrollabile, più forte di lui. Inoltre, quando può, mi paga sempre più del dovuto. Con altri, molto spesso, sono costretta a chiedere il mio compenso alzando la voce e usando le maniere forti, altri non mi pagano subito e se vado da loro a chiedere quel che mi spetta, minacciano di farlo sapere ai prof, o addirittura ai miei!


Tra poco sarà qui, e più ci penso, più ho la nausea. Delle volte mi chiedo: perché lo faccio? I miei genitori sono più che ricchi, ho tutto quello di cui ho bisogno e soddisfano tutte le mie richieste: ogni mio singolo desiderio, ogni inusuale capriccio. A differenza di tante altre, non credo di avere una vera motivazione.  Jessica, la ragazza dell’altra sezione, lo fa perché ne ha bisogno. Ho sentito dire che ha difficoltà economiche. Vive sola con la madre, che per guadagnarsi da vivere fa le pulizie, saltuariamente, nelle case dei ricconi che possono permetterselo- i miei l’hanno chiamata delle volte. Come biasimarla? Lo fa per aiutare la madre, non le chiede mai soldi. Chiaramente non le ha detto nulla. Per certi versi, Jessica, è persino da stimare, ma sono convinto che in cuor suo, se avesse un’altra maniera per tirar su gli stessi soldi che guadagna prostituendosi a questa maniera, non ci penserebbe due volte pur di non farlo più.  Ma ho sentito giurare che c’è chi lo fa costretta dalla madre. Anzi, ci sono ragazze che non hanno frequentato più la scuola, perché obbligate a prostituirsi a tempo pieno, schiavizzate e trattate senza un briciolo di umanità. Penso a tutto questo, mille dubbi mi assalgono.  Mi sento sola- continuo a ripetermi. Questa è la mia motivazione? E’ per questo che mi comporto così? Possibile sia così complicato avere 16 anni?


Non è ancora arrivato, e mi chiedo: perché lo faccio? Ho sentito dire che ci sono ragazze che non si accontentano dei pochi soldi che si fanno, facendo “servizietti” ai ragazzini qui a scuola, ma che acconciandosi, e assumendo atteggiamenti da donne mature, si sono iscritte ai siti d’incontri e organizzano veri e propri appuntamenti con uomini (spesso e volentieri, di gran lunga più grandi di loro) per andare ben oltre, a quello che accade nei bagni, qui a scuola. Quando il mio pensiero va a loro, trovo il tutto così pateticamente squallido! E se venissi anche io inghiottita dal vortice e divenissi ambiziosa a tal punto? Ogni tanto ci penso e mi tormento, ma credo di poter affermare che non arriverei a tanto- ci vuole coraggio per fare certe cose, anche le più sbagliate.
Sento i suoi passi, sta arrivando…




E ancora come il rumore ermetico e metallico della biglia sul pavimento una sola domanda mi assilla e mi attanaglia i sensi: perché lo faccio? Perché sono qui? Non ho bisogno di soldi! Il mio è un voler essere indipendente? E’ mancanza di affetto? Voler ritagliarsi un ruolo? Cosa cerco? E’ amore quel che voglio? O semplice ricerca di attenzioni? Ogni qualvolta, provo a dare delle risposte, ma tutte  mi sembrano così stupide e banali! Cos'ho che non va? Sono state le delusioni a portarmi a tutto questo? Con i soldi che guadagno non ci faccio niente, li metto tutti insieme nascosti tra le mie cose (se mia madre scoprisse la quantità di denaro che posseggo, delle domande se le farebbe- persino una distratta come lei). Possibile che non se ne accorga? Devo pur avere le sembianze e i comportamenti di una figlia che ha qualcosa che non va- è così difficile capirlo? Ma è troppo occupata a correre appresso al suo capo, e quello stolto del suo compagno nemmeno se ne accorge. Io non posso che mantenere le distanze, sia da una che dall'altro. Possibile sia lei la causa di tutto questo? Forse, in gran parte lo è, ma non del tutto. Sono io, ad essere troppo debole, non riesco a reagire.


Dopo esser stata con i ragazzi, mi sento sporca, e non vedo l’ora di potermi lavare, di poter scrollare di dosso tutto il sudiciume che tutto questo comporta. Ma come per le biglie che lasciavo cadere, uno alla volta, per far dispetto a mia madre, per attirare la sua attenzione, pur odiando quello stupido rumore, penso di poter dire che mi piace. Penso di poter dire che tutto contribuisce a colmare un vuoto, a darmi sollievo, a trarre piacere.

Ma, forse, è l’amore quello che cerco! Ma esso, che cos'è? Possibile che non sappia riconoscerlo e lo confonda con altre cose. Perché si nasconde? Perché non è puro e riconoscibile. Perché ci porta ad assumere comportamenti che non ci appartengono, ma che alla fine desideriamo fare. Possibile sia l’amore la causa di tutto questo male? Del smarrirsi a tal punto? Una volta ho sentito dire che l’amore non è altro che una cosa semplice, credo sia vero: sono le persone che lo rendono complicato.


Sento la porta che si apre. E’ qui. Lui è arrivato! E come un individuo che non indossa nessuna maschera, ad una festa che lo richiede, mi sento inadatta.
Tutto questo accade, ancora una volta, ed è più forte di me: non riesco ad impedirlo.>>
Primo piano di Marine Vacth, dal film "Giovane e Bella". La pellicola
racconta le vicende di una ragazza di 16 anni entrata nel tunnel
della prostituzione.




domenica 23 marzo 2014

" Do you Know ... ? " n.02

La rubrica “ do You Know... ? “ ci porta alla scoperta di svariati personaggi e delle loro relative curiosità.

In questo articolo parliamo di …


Wislawa Szymborska

nasce a Kórnik il 02 luglio 1923 e muore a Cracovia il 01 febbraio del 2012, dopo una lunga estenuante malattia. E’ stata una delle più importanti poetesse della letteratura contemporanea. Premio Nobel nel 1996 e investita di altri rilevanti riconoscimenti.

Elenco delle principali opere:


Appello allo Yeti, 1957.
Sale, 1962.
Uno spasso, 1967.
Ogni caso, 1972.
Grande numero, 1976.
Gente sul ponte, 1986.
Letture facoltative, 1992.
La fine e l'inizio, 1993.
Vista con granello di sabbia, 1996.
Due punti, 2005.
La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009):


Alcune poesie più rilevanti:

dalla raccolta “Due punti”




-Prospettiva-
Si sono incrociati come estranei,
senza un gesto o una parola,
lei diretta al negozio,
lui alla sua auto.

Forse smarriti
O distratti
O immemori
Di essersi, per un breve attimo,
amati per sempre.

D'altronde nessuna garanzia
Che fossero loro.
Sì, forse, da lontano,
ma da vicino niente affatto.

Li ho visti dalla finestra
E chi guarda dall'alto
Sbaglia più facilmente.

Lei è sparita dietro la porta a vetri,
lui si è messo al volante
ed è partito in fretta.
Cioè, come se nulla fosse accaduto,


anche se è accaduto.

E io, solo per un istante
Certa di quel che ho visto,
cerco di persuadere Voi, Lettori,
con brevi versi occasionali
quanto triste è stato.


-Stazione-



Il mio arrivo nella città di N.
è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito
con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire
all'ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario.
E' scesa molta gente.

L'assenza della mia persona
si avviava verso l'uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.

A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.

Si sono scambiati
un bacio non nostro,
intanto si è perduta
una valigia non mia.

La stazione della città di N.
ha superato bene la prova
di esistenza oggettiva.

L'insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.

E' avvenuto perfino
l'incontro fissato.

Fuori dalla portata
della nostra presenza.

Nel paradiso perduto 
della probabilità.

Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole.

dalla raccolta “Ogni caso”

-Ascolta come mi batte forte il tuo cuore-
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
E’ accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Della rubrica “Do you Know…?” leggi anche:
“Do You Know Francis Scott Fitzegerald?”

domenica 2 marzo 2014

Friends



La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.

In questo articolo . . . 



Tre amici di vecchia data si rivedono, dopo che per vari motivi sono stati costretti a separarsi. La situazione non è più quella di quando si sono lasciati. . .

  



Claudio era veramente euforico quel pomeriggio. Mi disse che avrebbe dato una festa a casa sua- un piccolo appartamento al terzo piano in zona periferica. La sua ragazza sarebbe tornata in serata e l’avrebbe finalmente rivista dopo tanto tempo. Lo scorso settembre è dovuta trasferirsi al nord per proseguire gli studi. Per questo motivo, i due trascorsero insieme una brutta estate, ma alla fine Claudio accettò la decisione di Clara di trasferirsi- seppur a malincuore. Parlammo del nuovo amico di Leonardo, un altro nostro compagno di vecchia data, anche lui costretto ad emigrare altrove per proseguire gli studi. Mi disse che l'aveva sentito al telefono pochi giorni prima e che sarebbe riuscito a venire per il week end. Leonardo era diverso da tutti noi. Sempre al passo coi tempi: un tipo in gamba- insomma. Apprezzava sul serio la vita e tutte le sue sfaccettature, anche se essa non era stata del tutto generosa con lui. Era dai tempi del liceo con la sua- ormai ex- ragazza, quando questa decise di farsi lasciare facendosi trovare a letto con un altro il giorno del suo compleanno <<Se non te ne davo prova non avresti mai avuto il coraggio di mollarmi e farla finita del tutto, era un po’ che ti dicevo che tra noi non stava funzionando>> gli disse, decidendo così di distruggere completamente ciò che non stava funzionando, senza nessun indugio, senza nessuna umanità, rompendo ogni barriera e rinunciando ad un briciolo di sana umanità. E’ incredibile l’incapacità della gente di porsi dei limiti, di provare del semplice rispetto nei confronti di una persona, che pur avendo smesso di amare, è stata parte della nostra vita. A quel punto il nostro caro amico Leonardo prese la decisione di andare a studiare fuori, cambiare aria. Ci disse che aveva bisogno di nuovi stimoli, di portarsi con sé il passato altrove, in un territorio a lui “ostile“ (così da lui definito) in modo tale da potersi difendere da ripercussioni e ripensamenti. Come quando in un luogo chiuso ci sentiamo soffocare e sentiamo il bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria. Quella sera ci sarebbe stato anche lui.
Dopo aver visto Claudio, andai a casa a prepararmi e verso le 23:00 mi avviai. Mi sono sempre piaciute le feste negli appartamenti. Deve essermi rimasta impressa qualche scena dei miei film preferiti. Si, 
dev'essere per questo che amo tanto le feste negli appartamenti. In particolare adoro osservare la gente e i loro modi di fare. Sembrerebbe che tutti assumano la stessa maniera di comportarsi, tutti usino le stesse parole e che tutti si muovano come da consuetudine. Nessuno che si distingua , nessuna sfumatura. Poi accade qualcosa :un gesto, un sorriso, un evento, uno sguardo dà la svolta alla serata. Era per questo che partecipavo alle feste negli appartamenti. La mia diventava una continua e disperata ricerca di un attimo che valesse la serata, di una sensazione che potesse cambiare il mio pensiero sulle persone, su tutto quello che mi portava a pensare
: che fossero tutti patetici e stupidi a loro modo. Arrivai in ritardo, come mio solito. Andai in cucina e lasciai una bottiglia di vino rosso, acquistato in un negozio vicino casa. Non ne sono mai stato un intenditore, ma amo molto bere, soprattutto vini. Claudio era agitato. Pensai che il motivo di tale agitazione fosse per via della sua ragazza, non ancora arrivata alla festa. Non credo sia riuscito a vederla nel pomeriggio <<i preparativi per la festa non me l’hanno permesso>> è quello che mi disse quando glielo chiesi. Leonardo era di là con quel suo nuovo amico di cui Claudio tanto mi aveva parlato quella mattina. Aveva il volto sereno, era seduto sui divanetti all’angolo del salone con tre belle ragazze che non avevo mai visto. Mi avvicinai. Leonardo mi vide, smise di parlare e mi abbracciò forte, staccandosi solo dopo un po’ dicendomi che era felice di vedermi. Poi proseguì il suo monologo con gli altri, presi posto vicino al gruppetto e cominciai ad ascoltare- il vino scelto da Claudio per la serata era ottimo, feci fuori un paio di bicchieri. <<… allora dove eravamo rimasti ? ah quindi lei mi chiede: cosa ne pensi dell’amicizia ? e io risposi …>> poi fu interrotto da quel suo amico, che non mi aveva nemmeno presentato <<Per me un amico è quella persona che abbraccio quando è sudata da far schifo e puzza da morire; solo dopo, e soltanto dopo, gli dico di farsi una doccia e di profumarsi. Tutti gli altri farebbero il contrario. E’ facile essere amico di qualcuno quando sta bene, quando è sicuro di sé e ha tutti dalla sua parte. Al contrario, è semplice mantenere le distanze quando è in condizioni di essere allontanato. Quelli non sono amici, non sono niente . Sono persone che ti girano attorno e sono buone solo a dirti quello che devi e non devi fare senza pensare veramente a cosa è giusto per te, senza pensare che ognuno di noi fa delle cose, giuste o sbagliate che siano, solo perché ha voglia di farle e nessuno ha il diritto di metterci i bastoni tra le ruote. Nessuno ha il diritto di non farci sbagliare>>. Seguirono attimi di silenzio , le nostre facce parlavano al posto nostro. <<Un discorso degno di una buona sbronza>> interruppe il silenzio Leonardo, sorridendo. Poi, si alzo e andò a prendere un'altra bottiglia di vino. Quella che avevo preso io, precedentemente,  era già finita da un pezzo. Una ragazza, seduta di fianco a me, mi chiese se conoscessi indicando con un dolce movimento del viso l’amico di Leonardo. Le dissi che era la prima volta che lo vedevo. Poi, mi disse che trovava interessante quello che aveva appena detto e che voleva conoscerlo. Si alzò e si andò a sedere vicino a lui insieme alle altre due. Rimasto solo mi scolai l’ultimo bicchiere di vino rimasto sul tavolino. Poi mi alzai e raggiunsi Leonardo in cucina che litigava con l’apri bottiglia.
 <<Non mi hai presentato il tuo amico>> gli dissi <<Ci ha rubato la scena , tutte le ragazze si sono messe a sentirlo>>
<<Ma di chi stai parlando?>>
<<Del tipo che era seduto vicino a noi, quello del discorso sul sudore e l’amicizia>>
<<Amico? ma chi lo conosce? era al bar questa mattina con due ragazze che ho conosciuto. L’hanno invitato e ora eccolo qui>>
<<Ma non ti vedevi con qualcuno? E come procede?>>
<<E' stupendo! Devi conoscerla: fuma le sigarette dei partigiani francesi!>>
<<Interessante! … e dimmi: è bella?>>
<<Che importanza ha? Fuma le sigarette dei partigiani francesi! Piuttosto hai visto Claudio? non l’ho nemmeno salutato.>>

Mi girava la testa. Presi un'altra bottiglia già aperta e scolata a metà, lasciai Leonardo a litigare con le restanti bottiglie e andai fuori. Trovai Claudio a fumare da solo, seduto all’angolo, appoggiato al muro. Mi avvicinai e mi sedetti di fianco. Non dissi niente, poi lui con lo sguardo perso nel vuoto e, con una voce più rassegnata che triste, esordì <<Alla mia festa sono presenti tutti, persino gente che non conosco o che fingo di conoscere. Tutti tranne lei>>. Seguirono attimi di un fastidioso silenzio. Mi preparai ad ascoltare e a ricercare qualcosa da dire. Intuì quello che Claudio, di lì a poco, mi avrebbe detto e non sarebbero state belle notizie. <<Ti ho mentito, sai?>> riprese d’un tratto <<Quest’estate io e Clara ci siamo lasciati. Non sopportavo il fatto che sarebbe andata fuori e mi avrebbe lasciato solo per due anni, vedendoci solo in rare occasioni. Senza contare che, magari, finiti gli studi avrebbe potuto rimanere lì trovando lavoro senza più tornare. Abbiamo passato l’estate a litigare. Avrei voluto passare il tempo con lei divertendoci, invece ho rovinato tutto. Non facevo altro che parlare della sua decisione cercando di convincerla a cambiare idea , che avrebbe potuto proseguire i suoi studi anche qui. Poi, un giorno, alla fine di agosto, mi ha detto che non ne poteva più, che era diventato un mio chiodo fisso e che pensava di non amarmi più. Mi disse <<non sentiamoci per un po>>. Ma era un modo per dirmi di mettermi da parte. Le mie parole non avevano più importanza. Io non ero più importante.  Ho sempre pensato che amare una persona sia metterla nelle condizioni di poter essere liberi e che lei nella sua libertà scelga di passare il tempo con te. Facile a dirsi, no? Diciamo un sacco di stronzate, siamo bravi a riempirci la bocca e poi? Crolliamo alla minima  difficoltà. Non ti ho detto nulla prima perché non riuscivo ad accettarlo. Non che adesso l’abbia accettato, ma dovevo comunque trovare il coraggio di parlartene…il vino fa miracoli no? Adesso vado a dormire. Finita la festa puoi tranquillamente dormire sul divano in soggiorno. Vieni dentro?>>.
Gli dissi che volevo rimanere un altro po’, che mi girava la testa e che volevo riflettere su quello che mi aveva appena detto. Avrei dovuto dirgli qualche parola di conforto, dargli qualche consiglio. Ma cosa c'è di più falso delle parole di conforto? Che senso ha dire a qualcuno che le cose si aggiusteranno quando sono completamente distrutte? Ho preferito evitarle, si rischia di dire cose che non si pensano. La maggior parte delle volte, le parole di conforto sono semplici scusanti che non si dovrebbero mai fornire ad una persona giù di morale. Inoltre, non mi sembrò il caso di dargli dei consigli. In realtà non mi veniva nulla da dire perché il suo discorso mi aveva scosso. Il suo dolore faceva parte di me. Quando qualcuno a noi caro sta male ci sembra di sentire la sua sofferenza raddoppiata; accusiamo l’impotenza di fronte un dolore che non ci appartiene, che non conosceremo mai definitivamente. A quel punto lo abbracciai. Sembrò apprezzare il mio gesto. Le parole non servono in questi casi. Per colpa delle parole, Clara era andata via dalla sua vita. Non era con le parole che potevo dimostrargli il mio affetto, non era con le parole che potevo ribadirli che era il mio amico e che ero con lui. Poi gli dissi che sarei rientrato non appena finito di bere. Una bottiglia di vino può farti sentire meno solo e aiuta a scacciare tutta quella tristezza che sembra essere lì in agguato. Non la percepisci subito: la senti dopo un po’. Quasi come se ti addormentasse per pochi attimi per poi svegliarti di colpo.
Come l’umidità si posa sui tuoi vestiti fino a oltrepassarli per toccarti la pelle e poi, infine, l’anima. Di lì a poco, Leonardo mi raggiunse. Barcollava e venendo verso di me con aria stralunata e due bottiglie in mano disse <<Mmh... eh.. Sai come cazzo si usa l'apri bottiglia?>>


Scena del film "La meglio gioventù"